Approntare una scala temporale attendibile nell’evoluzionistica della famiglia dei ciclidi è stato sempre uno degli argomenti principali degli studi dell’ittiologia, anche perché questa famiglia rappresenta una grossa fetta della popolazione acquatica.


Infatti i ciclidi rappresentano quasi il 10% delle specie e i biologi sono, a ragion veduta, attratti dalla loro capacità di diversificazione, sia in termini ecologici che morfologici.


Lo stesso Salzburger, nel 2018, li definisce uno tra i primissimi modelli nella biologia evolutiva del regno animale.

Una delle domande primarie che i ricercatori si sono sempre posti è: I due grossi rami di questa famiglia, i ciclidi africani e quelli americani si sono diversificati all’atto della separazione dei continenti e quindi temporaneamente circa 100 milioni di anni fa, oppure in un tempo successivo, attraverso una trasmigrazione marina, così come afferma in un suo studio del 2019 Matschiner, che pone quest’evento in un arco che va tra i 60 e i 75 milioni di anni fa ?


Uno degli ostacoli principali incontrati è sempre stato la scarsità di ritrovamenti fossili e il reperimento di uno di essi è stato sempre accolto entusiasticamente, come ad esempio  quello del più antico degli Haplochrimi fino ad ora ritrovati, quello dell’ Rebeccachromis, collocato momentaneamente nella tribù degli Etiini e che in studi come quello di Kevrekidis ed altri (2019) procurano un saldo vincolo di temporale.


In riferimento ai ciclidi americani si nota che essi a differenza di quelli africani, che si sono maggiormente diversificati nei grandi laghi, questi invece hanno instaurato il loro ambiente più favorevole nei grossi rami fluviali.


Oltre il 50% delle specie le ritroviamo nel grosso bacino amazzonico e trovare il bandolo della matassa tassonomica è tutt’oggi un grande argomento di studio che non ha ancora trovato una valida soluzione.


Lo studio del 2019, portato avanti da Carvalho ha provato a diversificare queste specie secondo il loro DNA, diversificando 56 morfospecie e ha evidenziato come la loro distinzione sia ampiamente sottovalutata e che per alcune specie questo metodo non risulta affidabile a causa di presenza nei bacini di specie che si sono naturalmente ibridate e differenziate dalle loro specie iniziali.


Sempre nel 2019 due grossi studi, portati avanti da Říčan e Piálek hanno puntato su gli altri due grossi drenaggi americani, quelli dei fiumi Paranà e Uruguay.


Basandosi su metodi più tradizionali, quali quelli morfologici Říčan ha identificato che la parte centrale del Paranà ospita un maggior numero di specie del genere Gymnogeophagus di quanto si credesse e che la presenza di cascate funge da barriera filogeografica per la dispersione di queste specie.

 

A sue volta lo studio di Piálek ha evidenziato come il genere Crenicichla nello stesso tratto del medio Paranà abbia un singolo endemismo tributario, con forte ibridazione introgressiva tra varie specie.

 

I ciclidi dei grandi laghi africani dimostrano a loro volta un enorme numero di diversificazione e la stragrande maggioranza di esse sono fortemente endemiche, non solo dei singoli laghi, ma addi rittura di aerali a volte anche relativamente limitati.

 

Tra essi il più antico e profondo è il lago Tanganyika, ma nonostante questo, il numero di specie in esso presenti è più basso rispetto a gli altri grandi laghi.

Una delle tipicità dei ciclidi africani di tutti i grandi laghi è quella di cibarsi delle squame di altri pesci, con maggior percentuale nel lago Tanganyica e il più specializzato in questo è senza dubbio Perissodus microlepis, che fa di queste la sua fonte esclusiva di alimentazione.


Gli studi di Kocher  nel 1993, di Takahashi nel 2007 e di Santos & Salzburger nel 2012 hanno portato grandi passi avanti da un lato, ma hanno da un altro complicato la comprensione dei sistemi di differenziazione.


Altra tipicità dei ciclidi africani dei grandi laghi e senza dubbio quella dei piscivori pelagici, ma anche su questa i dati sembrano discrepanti, poiché poco si sa della loro genetica e filogeograficità. Questa problematica è stata affrontata prima da Genner nel 2008 e poi da Koblmüller nel 2015. In entrambi gli studi è stato evidenziato che, a differenza della specie eupelagiche quelle pelagiche evidenziano una chiara struttura filogeografica e che si differenziano tra loro geneticamente a causa delle differenti prede preferite nella loro nicchia.


I ciclidi predatori mostrano caratterizzati modi di alimentazione alle quali si sono adattati i loro stessi apparati boccali, come ad esempio quella di alcuni Haplochromini del Malawi e del Vittoria che, bloccano nella loro bocca le testa delle femmine incubanti, fino a q uando queste rilasciano nella bocca del predatore le uova o le larve che proteggono.


Le difficoltà nel trovare il bandolo della matassa sono molteplici e a volte si trovano parziali risposte inaspettate in fattori in un primo tempo non presi in considerazione.


Così come in alcuni studi susseguitisi, a partire da Morand nel 2015, poi da Betts nel 2018 e Meyer nel 2019, nei quali si evidenzia come la presenza di alcuni parassiti e l’adattamento immunitario da parte di alcune specie che non in altre possa essere fattore apprezzabile nella diversificazione stessa.


Altro segno articolato nella diversificazione dei ciclidi è l’incredibile variabilità delle colorazioni, ma si e distanti dal poter usare queste distinzioni come discriminante per la genomica di questi pesci.


Alcuni studi su questo argomenti, ultimo dei quali quello di Border nel 2019 hanno rilevato che un elevazione dei melanociti favorisce una pigmentazione tendente al giallo per dispersione degli dei pigmenti degli xantofori, mentre lo stress sociale non ha alcuna influenza nelle variazioni cromatiche delle popolazioni.


Altri studi hanno cercato indirizzo nell’alimentazione e nella limitazione di esso nelle nidiate; ultimo ad intraprendere questa strada e stato Satoh nel 2019.

Lo scopo principale di questi studi è stato quello di verificare l’aggressività tra fratelli in caso di poca disponibilità alimentare.


In particolare lo studio di Satoh ha preso in esame le nidiate di Neolamprologus furciferche sembra varino la loro colorazione in base proprio alla disponibilità di cibo e al livello di fame.


Come abbiamo visto, tutti i grandi studi, per un ampio periodo hanno preso in esame il grosso bacino amazzonico e i grandi laghi africani, ma negli ultimi anni, alcuni studiosi, si sono indirizzati anche verso i sistemi fluviali africani e i laghi di origine vulcanica.


Da questi studi è risultato che l’endemismo e le diversità morfologiche dei ciclidi di questi specchi d'acqua è molto più cospicua di quanto si stimasse.


Una delle minacce certamente più invasiva e preoccupante è l’ibridazione dovuta all’introduzione di ciclidi non autoctoni che può avere riscontri negativi per la biodiversità.


In particolare alcuni studi hanno evidenziato che alcuni tilapini, introdotti nelle aquaculture di molti bacini a scopo di pesca alimentare si sono rivelati altamente lesivi, limitando proprio la distribuzione delle specie autoctone e Shechonge nel 2018 ha riscontrato grosse presenze di branchi ibridi di Oreochromis nelle acque della Tanzania.


Una delle specie risultate più minate da queste introduzioni è risultata Oreochromis hunteri, endemica del lago Chala, che dopo l’introduzione forzata di una specie denominata “Bandia” ha mostrato ampie ibridazioni, come dimostrato da uno studio di Dieleman nel 2019 sui DNA di questi pesci.


Moser nello stesso anno evidenzia come, nello stesso lago, dopo l’introduzione di O. urolepis quest’ultima sia risultata numericamente superiore rispetto O. hunteri e lo stesso Moser si è dimostrato convinto che nel tempo e a causa della disponibilità di risorse O. urolepis finirà per estinguersi.


Gli studi di Lamoine del 2019 si sono verificati particolarmente utili nello analisi degli sciami di haplochromini in laghi di origine craterica come il lago Saka in Uganda, dove una stessa specie si è differenziata geneticamente in maschi riproduttivi tendenti al blu o al giallo a secondo delle diverse preferenze del microhabitat, indicando che la speciazione può essere indirizzata da una selezione discrepante che opera influendo sulla livrea maschile in diversi habitat.


Il perché i cromosomi si evolvano, rimanendo eguali in alcune popolazioni e mutino in altre, è uno degli argomenti caldi di tutti gli studi della biologia evolutiva dei ciclidi.

D’altro canto sappiamo come per i ciclidi africani, con il loro vasto bagaglio cromosomico, sia nota una influenza notevole nella determinazione del sesso dei nascituri in base ai fattori ambientali, come evidenziato dagli studi di Gammerdinger e Kocher nel 2018 e da Böhne nel 2019.


In definitiva tutti gli studi qui riportati ci indicano che, la conoscenza dei fattori ambientali e dei processi evolutivi contribuisca alla stupenda varietà dei ciclidi, stabilendo dei fattori da prendere in considerazione non solo per questa splendida famiglia di pesci, ma da applicare per la comprensione di tutto il sistema evolutivo in generale.

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